
L’impossibile, il contingente e il necessario per una specie di verità
Aniello Ertico
Presidente di Porta Cœli Foundation
La rappresentazione, la comunicazione dell’esito di uno sforzo di ricerca concettuale, è una sfida spesso destinata al disincanto. Presumere che la struttura di un concetto e la sua valenza ontologica possano auto preservarsi allorquando, nel tentativo di condividerlo, appare necessaria l’adozione di un qualunque linguaggio, è pressoché un atto di ingenuità illusoria. Non riusciremo mai a comunicare con il linguaggio quello che abbiamo coniato nel pensiero senza linguaggio.
Alcune eccezioni potrebbero tuttavia confermare la regola. Il concetto di “impossibile”, per esempio, inteso come ciò che non è possibile in nessun mondo possibile, non cessa di non scriversi nella percezione quotidiana e trova rappresentazioni chiarissime anche mediante linguaggi diversi, istintivamente e automaticamente decifrabili. L’impossibile non si spiega. Si legge da qualunque grammatica empirica.
Il concetto di “contingente”, per continuare, inteso come qualcosa di vero in almeno un mondo e una dimensione possibile, cessa di non scriversi. Ossia si afferma continuamente nella sua funzione di alternativa al noto. Il contingente è una possibilità raccontabile che viene letta come plausibile. Non rinuncia mai a proporsi se solo si ha il coraggio di raccontare il mai raccontato e di leggere con la postura dell’analisi e non del mero apprendimento.
Il concetto del “necessario”, per finire, inteso come ciò che è vero in tutti i mondi possibili, non cessa di scriversi e più che essere solo scritto o letto, si avverte. Il necessario insegue l’individuo ben prima che l’individuo, confondendosi, lo interpreti quale bisogno invertendo il senso dell’inseguimento.
E la si potrebbe chiudere così se non fosse per il tentativo in corso affidato a Marcello Mantegazza. Una categoria di linguaggio che sfugge alle formule del concettuale trasmissibile con autenticità e suggerisce il ricorso al nuovo conio concettuale della “specie altra di verità”.
Sembra aver stanato un processo che non appartiene alla scrittura o alla lettura quanto piuttosto al continuo generarsi di archetipi che si riformulano per sommatoria (il patrimonio del sapere ereditato e inconsciamente detenuto si riplasma con lo spasmo di revisioni attualizzate) senza evolvere in conoscenza nuova quanto, piuttosto, aggiornando l’archetipo stesso. Come in un incendio che attiva combustione da vapori e non da carboni. Silenzioso e senza lasciare ceneri.
Come si racconta un incendio etereo che non tocca suolo? Come si documenta il rogo che non ha lasciato traccia e che si è solo spostato e mai ancora consumato? Si tratta di sentirne il calore. Ecco la nuova categoria di Mantegazza: quella di una specie di verità che non necessita di essere prossima a un linguaggio leggibile esprimendosi con una matrice che affossa i concetti e le categorie.
L’impossibile non cessa di non scriversi solo perché comunque utile come traghettatore nella sua mappa ellittica in cui, talvolta, è proprio l’impossibile a traghettare da un approdo a un altro senza vettori didascalicamente dettati. Il contingente è parte integrante del vero: è contingente solo ciò che la memoria ha temporaneamente smarrito! Il recupero, inevitabile e predestinato nella vicenda accorta dell’osservazione artistica, restituisce il reperto alla verità e alla sua lettura. Il necessario smette di essere bisogno o ricatto e diventa occasione per la celebrazione di una fragilità biologica, essa stessa, tuttavia, monumentale perché anche la morte, come la nascita, contribuisce ad alimentare la ricorsività di cerimoniali di perdite e ritrovamenti. Anche solo di un nome su una epigrafe.
Marcello Mantegazza realizza un nuovo paradigma: esiste una specie di verità che si perde nella cronaca e ritorna fragorosa nell’incidente della vita. Una verità di cui non ti accorgi se non per l’inciampo che fortunosamente può farti guardare una scritta senza leggerla o farti leggere un’epigrafe soltanto guardando la stele. Una verità incidente che nasce da incidenti: come quello di un fiore raccolto vivo e stipato morto in un libro ritrovato. Come la parola recuperata alla vista da un libro scavato. Come una specie di verità senza regole vere.